Si fa uscire dai confini, quando lo si racconti, un territorio; accogliendo, poi, lo si apre ad altri. Scambiandosi il racconto lo si restituisce - condividendolo comunitariamente, come in un promemoria - a chi lo viva distrattamente nella frenesia del quotidiano.
Il territorio ha un'anima tutta sua, unica, irripetibile, non scimmiottabile o imitabile; farlo sarebbe una pantomima. Nulla sarebbe autentico. Tutto striderebbe. Non si interpreta, dunque, un territorio. Si vive, si incarna, con quanto si porti in sé del passato e dei vissuti di quanti ci abbiano preceduto, nostri testimoni, narrazione vivente, nostro stesso sangue ...
Si è tutti attori, in un territorio, tutti potenziali artefici e artigiani di futuro. Si può essere attivi o passivi. Provare emozioni o sopravvivere. Raccontare soltanto o incarnare. Partecipare o restare a guardare e, in silenzio, panto-mimare ruoli inappropriati senza concetti e contenuti propri.La Pupella non ha grosse aspirazioni, ma ci mette propositività, positività e passione, perché è un tuttotondo narrante una auspicata circolazione di intenti per una 'pandemia' identitaria, in tempi di fiacca psicofisica e a rischio di perdita di speranza. E' attenta con gli occhi e sorride col cuore; pronta a rispondere a chi cerchi identità da portare nel suo territorio o a chi ne ricerchi lo spirito. E' attenta alla tristezza, ripudia la noia. Vorrebbe giocare sul serio, al futuro, come solo i bambini sanno fare. Un futuro antico di una grande storia.
La Pupella è racconto visivo, pungolo ad un sano orgoglio di campanile, invito al sogno comunitario, al re-innamoramento delle cose semplici, alla riappropriazione del territorio, alla bellezza di essere continente, non isole.
E' me, te, noi...(...)
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